Mio nonno, il professor Gino Calore, è nato a Padova. Il padre, il mio bisnonno, era un ricco macellaio. Nella cittadina veneta, era proprietario di tre macellerie, di diversi poderi dove allevava e si sceglieva le sue “bestie”.
Ogni sera, alla fine della lunga giornata di lavoro, entrava in casa, si liberava del pesante tabarro nero di memoria Guareschiana e lanciava una moneta d’oro in un vaso ex sputacchiera adibita a banca.
La bisnonna sapeva che, quando la misura era colma, o si comprava una nuova proprietà o si andava in banca a versare.
Mio nonno era destinato a ereditare e continuare la fortuna di famiglia, ma non voleva. Lui era un artista, voleva dipingere e studiare storia dell’arte e così, segretamente, aveva iniziato a frequentare l’università, quando e come poteva.
Se lo avesse saputo il bisnonno sarebbero stati guai. Studiare? C’era una florida azienda da mandare avanti! Solo quando mio nonno, ormai alle soglie della laurea, aveva palesato la sua intenzione di vivere di carriera universitaria, il bisnonno aveva ceduto le armi ed era nato il professor Gino Calore, il figlio sapiente del macellaio ricco.
Io non ho molti ricordi del nonno quando vivevamo fra Venezia e Milano. A Venezia mi ricordo questa grande tavolata fitta di persone, lui a capotavola davanti a me ma lontano, io a capotavola di fronte a lui quale primogenito maschio, mio padre, meno importante di me dal punto di vista genealogico, alla mia destra.
Mi ricordo una discussione con lui, io, l’unico ad aver osato contestare il patriarca. Mi aveva tolto il saluto per giorni, ma godeva silenziosamente del mio coraggio e che osassi avendo solo nove anni.
Mi ricordo lui vecchio in vestaglia su una poltrona, quasi infermo, che cercava di fermarmi con quelle sue belle mani da pittore, e io che sfuggivo per giocare.
Mi ricordo a casa nostra a Venezia (nella foto), che i cassetti erano pieni di sottili foglie d’oro, che il nonno usava per le cornici e i suoi restauri. Erano dispersi per tutta la casa, perché l’oro, per il nonno, non contava molto. Contavano di più le terre che lui ricercava per restaurare Tiepolo, Caravaggio, Rubens, Tintoretto e i tanti capolavori che passavano fra le sue mani.
Il nonno divideva infatti la sua vita fra la sovrintendenza delle belle arti, il restauro di chiese e dipinti fra Padova prima e Venezia poi, il commercio di dipinti (era diventato un importante e ricco mercante d’arte) e il dipingere lui stesso, la cosa che gli piaceva di più.
Detestava l’oro e il denaro. Certo, erano necessari per la sua numerosa famiglia, ma lui vendeva quadri solo quando era necessario. E il commercio lo considerava una rovina, perché aveva “costretto” la famiglia a vivere anche a Milano, dove c’erano gli industriali collezionisti d’arte, quelli che compravano di più.
Il vil denaro… Il nonno Gino odiava persino il mattone. Una volta gli avevano offerta l’acquisto di un palazzo sul Canal Grande, e lui i soldi li aveva, eccome, tutti in contanti. Ma niente. Diceva, era il 1937, che sarebbe scoppiata la guerra e avrebbero bombardato Venezia. Una scusa.
Così viveva in affitto, prima a palazzo Morosini, poi a palazzo Papadopoli e infine, grazie alla nonna che lo aveva sopraffatto per stanchezza, aveva finalmente comprato la casa dove son cresciuto io, il piano nobile di un palazzotto minore del 400 (nella foto).
Ma i soldi servivano solo se servivano. Ed erano dimenticati dappertutto, sotto i letti, nei cassetti, come le famose foglie d’oro. Per fortuna mia nonna Ester li raccoglieva e gestiva la famiglia.
Gli unici soldi che il nonno contava erano quelli che dava ai partigiani. Una notte alla settimana, durante la guerra, attraccava al palazzo una piccola barca. Uomini trasbordavano dalla cantina del nonno viveri comprati al mercato nero e soldi. E poi se ne andavano nella notte.
I tedeschi lo sospettavano, ma non avevano mai osato accusare mio nonno: il professor Calore era troppo in vista e amato in città. Persino i fascisti facevano finta di non vedere che non portava sulla giacca quello che chiamava il Peocio, la cozza, cioè lo stemma del partito. Alla fine della guerra il nonno lo avevano messo nella lista delle personalità da fucilare per rappresaglia ma, per fortuna, i nazisti erano dovuti scappare più in fretta del dovuto, e così io sono potuto nascere.
Ecco, mio nonno me lo ricordo così: imponente, serio, ma anche che fischiettava davanti a un Guardi, pennellandolo.
Di lui mi è rimasto il senso leggero del denaro e dell’oro, importanti perché ho figli, altrimenti beni voluttuari da spendere spesso e senza pensarci troppo.
Pax tibi Marce