Che differenza c’è fra un combattente nato e un non combattente? La paura. Il combattente sente la paura ma la trasforma in adrenalina e attacca.
Il non combattente si fa dominare dalla paura e scappa, cade a terra, si fa travolgere.
Il combattente non è un violento di natura: per lui esprimere fisicamente la propria emotività attraverso le armi che possiede, le mani e le gambe, i gomiti e la testa, è naturale.
Io ho capito di essere un combattente praticando il karate. Mi ricordo che quando ho fatto il provino per entrare in agonistica, per fare combattimento, il maestro mi ha messo di fronte una cintura nera, mentre io ero blu (università contro elementari, per capirci). Ne ho prese tante, ma non arretravo. A un certo punto mi è arrivato un calcio in pieno addome, ma io ero talmente proiettato in avanti che ho fatto volare l’avversario fuori dal tatami, cioè dal ring. Il maestro si è alzato e mi ha detto: tu non hai paura. In realtà ne avevo tanta, ma ho capito che lui intendeva, essendo giapponese, tu la sia trasformare in forza reattiva.
Così è iniziata la mia carriera agonistica, pesi massimi incontrista per parafrasare la boxe (significa che anticipavo l’avversario nell’attacco: botte da orbi se trovavi uno alla pari). Non ero un campione, anche perché il mio destino era scrivere, non diventare un atleta, ma qualche soddisfazione me la sono presa.
E la paura era il mio carburante: ricordo alla fine di una gara di essermi tolto i guantoni paracolpi. Avevo una mano nera: era rotta. Ma l’adrenalina del combattimento, quei tre minuti fatidici e interminabili sul ring, avevano annullato il dolore.
La paura è tornata ad aiutarmi durante il servizio militare, fatto a Milano, nei Carabinieri. Ci sono stati tanti momenti di vero terrore, ricordo soprattutto le cariche alla partita. Dieci Carabinieri armati di pistole che non avrebbero potuto usare, di vecchie carabine e di tanta paura di fronte a 50 facinorosi, così li chiamavano (altro che antagonisti). Certe volte era vera guerra. Ma mi ha sempre sostenuto la paura, non sono mai arretrato, loro sono arretrati.
Il combattente si nutre di paura per reagire. Ricordo lo scherzo fatto al mio amico Francesco, a casa sua al mare. Lui va in bagno e io mi metto in testa un casco integrale e una coperta come mantello lunga fino ai piedi: sembravo Belfagor. Mi sono messo a filo della porta. La apre e gli va il cuore in gola. È terrorizzato, ma mi assesta un calcio nelle palle che me lo ricordo ancora. Francesco era ed è rimasto un combattente.
La paura ha solo un difetto: può trasformarsi in ira violenta. Mi è capitato di combattere anche per strada, anche in una rissa. Il combattente ha un’altra caratteristica: non ha paura di fare del male agli altri. Le persone non combattenti sono come il combattente alla prima sfida. Non hai ancora la percezione del colpo contro un altro organismo. Non sei abituato al sangue, ti fa paura ti schokka. Il dolore subito ti ghiaccia, il dolore inferto ti spaventa. Poi impari che quelli sono i momenti per picchiare più forte.
Il problema è che se in te prevale il lato oscuro puoi non fermarti, anche quando l’avversario è a terra. È una cosa che devi imparare: frenare la locomotiva lanciata a 200 all’ora.
Nella mia vita di combattente ho dovuto rinunciare, nella stragrande maggioranza dei casi, alle mie armi e al mio istinto di parlare poco e menare subito. La diplomazia ha preso il posto della forza. Prima picchiavo come un fabbro, oggi discuto come un ambasciatore in terre spesso non amiche.
Sono andato a tappeto molte volte, ma se ho perso, ho perso sempre ai punti, mai per ko. E ho imparato a rialzarmi, pestato e sanguinante, ma già con la guardia alzata. Io combatterò sempre.
Questa è la nobiltà della sconfitta. Questa è la paura che ti dona forza.
Mio figlio Nicolò, nella foto, credo sia un combattente come me. Una volta mi ha detto, perché ero preoccupato per delle montagne russe da brivido che voleva fare: papà non devi avere paura di quello che non ti può uccidere.
1Commento