I malati vengono chiamati pazienti perché, oltre ad avere la sfiga della malattia, devono anche aspettare prima i tempi del nostro Servizio Sanitario Nazionale (ma che Dio ce lo conservi, perché comunque, con tutti i suoi difetti, rimane uno dei migliori forse al mondo) per ottenere un ricovero, poi aver superato la trafila di nuovi esami (quelli vecchi, anche di un mese, sono vecchi) e infine, arrivato finalmente il giorno del giudizio operatorio, anche i tempi burocratici di ricovero.

Prendiamo mia zia questa mattina: ricovero in day hospital. 

Alzabandiera per prepararsi: ore 6.00

Adunata allo sportello ricoveri: 7.15

Chiamata allo sportello ricoveri: 7.50

Trafila per camera pre operatoria: fino alle 9.20

Presunto orario intervento: 9.30

Fine intervento: 11 circa? 

Poi 7 ore sotto controllo…

Nel momento in cui scrivo, ore 10.30, la zia è ancora lì sul lettino. Paziente.

Come lo devo essere io, nipote, accompagnatore e in paziente attesa.

Ore e ore perse, permessi bruciati, ma occorre essere pazienti, anche negli interventi programmati da mesi, e non solo quando arrivi in Pronto Soccorso che ti passano davanti, giustamente, tutte le urgenze.

Pazienti i malati, pazienti i parenti. Pazienza. 

Il tempo, dicono, è denaro. Qualche pirla potrebbe dire: che cazzo vuoi, è tutto gratis.

No caro mio, io e mia zia paghiamo le tasse. E anche tante. Troppe. Forse anche tu, ma allora sei doppiamente ignorante se parli di gratis.

Pazienti anche con i cretini e i loro commenti a ruota libera. D’altronde il tempo lo devi passare in qualche modo no? 

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