Sono nato a Milano, ma sono cresciuto a Venezia per un bel pezzo della mia vita. I miei erano veneziani, ma già gravitavano su Milano perché mio padre faceva il giornalista, e la stampa e i suoi interessi erano concentrati lì. Anche la famiglia di mia madre, restauratori e mercanti d’arte, avevano i clienti dell’industria nella metropoli lombarda.
Però la famiglia si trasferiva a Venezia da giugno fino a ottobre nella grande casa di famiglia.
Il nonno aveva comprato buona parte del piano nobile di un Palazzo del 400. Non immaginatevi un Palazzo da Canal Grande, era un palazzetto minore, in zona Fondamenta nove.
Io l’adoravo. Non era una casa, era un castello.
Intanto il salone, enorme. Ci giocavamo a calcio anche in sei contro sei e una porta era il pianoforte a coda di mia madre, l’altra la grande vetrata alta più di sei metri verso la parte interna del palazzo, che si affacciava su una corte.
I soffitti erano altissimi (potete vederne uno scorcio nella foto), a cassettoni, il marmo tipicamente veneziano, le pareti rosa di stucchi con putti in rilievo che reggevano le cornici di grandi quadri.
Sul salone si affacciava una finestrella sopra il portone (si vede nella foto) che veniva usata dalla servitù per spiare i nobili che ballavano nel salone. Quante corse e giochi in quel salone!
Sul salone si affacciavano due camere molto grandi. Quella dei nonni, che comunicava con una più piccola, la stanza detta azzurra, per i colori degli affreschi che la rendevano meravigliosa. Ci abitava la zia Ina, la sorella di mia nonna. Zitella, era addetta a noi bambini.
Questa era la parte interna. Poi c’era la parte sulla laguna.
Innanzitutto la sala da pranzo, che reggeva un tavolone enorme dove mangiavamo anche in venti. Vicino la cucina, il bagno e poi a sinistra… Iniziava l’avventura.
Dopo una camera affacciata sulla laguna, destinata prima a mio zio e poi a me da adolescente (casa è rimasta nostra fino ai miei 18 anni) iniziava la salita di un ponte coperto, parte integrante della casa.
Non aveva finestre ma delle specie di oblo sulla laguna, da cui si vedeva l’isola di San Michele. Era il centro dei miei giochi perché poi da lì si apriva una porticina mascherata che portava in alto alla soffitta e alla famosa finestra spioncino usata dalla servitù, e che dava sul salone. Quante avventure con mia sorella Carlotta ma soprattutto da solo con la mia fantasia.
Poi, dopo il ponte, camera dei miei, dove da piccoli dormivamo anche noi. Sopra il mio letto campeggiava l’affresco di una nobildonna veneziana e su, sul soffitto a cassettoni istoriato di fiori dorati, se stavi attento potevi intravvedere una maschera intagliata, che a me ricordava Eolo, il dio dei venti.
Di notte mi cullava il riverbero della laguna sul soffitto altissimo, le barche che sbattevano contro le briccole, di giorno le campane di mille chiese.
Ero così legato a quella casa che tendevo a rimanerci il più possibile, quasi un recluso volontario. Gli andavano in Piazza e io rimanevo lì, solo, padrone di tutto.
Era il mio regno e mi manca tantissimo, ma la famiglia, col tempo, si era ristretta ( ci dormivamo in tre famiglie) gli interessi milanesi prevalevano, i costi di manutenzione lievitavano e così è stata venduta.
Quando andavo a Venezia, fino a non molto tempo fa, solevo arrivare fin sotto il portone e guardavo su, senza mai avere il coraggio di salire.
Poi, una volta, mia moglie Rita mi ha convinto a citofonare. La nuova proprietaria è stata gentile e ci ha fatto fare un giro…
Che emozione, ma anche che dolore. La casa era stata trasformata in due appartamenti, e molta parte di essa era irriconoscibile.
Da allora non vado più sotto quel portone ma ho un sogno: ricomprarla.
14Commenti