Una storia lunga 11 anni, iniziata in un lontano villaggio delle Maldive dove ci siamo conosciuti mentre io ero in viaggio di nozze (e lei faceva l’animatrice), piena di tira e molla amorosi, di tragedie e gioie incredibili, può non avere il finale di una favola? E il lieto fine non può che essere il matrimonio e un bambino. Solo che il nostro matrimonio è durato due giorni… Di festeggiamenti, cosa avete capito?
La realtà a volte supera le favole. Se ci avete seguito, gentili lettori e amici, sapete che siamo partiti da uno sperduto villaggio vacanze in un atollo delle Maldive (leggi qui l’inizio della storia), ben undici anni prima, per approdare a Cortona, in Val di Chiana, per celebrare l’epilogo meraviglioso del nostro amore, ebbri di felicità e lei pronta per rendermi padre e darmi il regalo più grande che un uomo può chiedere oltre al suo amore, un figlio (leggi la puntata precedente qui).
Cortona era stata scelta perché era il nostro rifugio da amanti (leggi qui). In questa splendida cittadina medievale avevamo concepito Nicolò, rifugiandoci nella torretta, la suite dell’Albergo San Michele, di proprietà degli amici Paolo e Marcella, conosciuti da Rita sempre in un villaggio vacanze. Era KARMA che fosse quello il luogo dell’happy end della favola.
Ma la favola doveva durare almeno due giorni, come i festeggiamenti di Cenerentola con il Principe Azzurro. Così avevamo deciso di prenotare tutte le camere dell’albergo, un palazzo del 500, invitando rigorosamente pochi parenti (ridotti all’osso) e tantissimi amici e colleghi. La cosa incredibile è che ti affacciavi dalle antiche stanze, e per quei due giorni da favola, vedevi solo volti di amici. E li vedevi per strada, durante questo matrimonio weekend.
Per il ricevimento avevamo scelto il pluristellato Relais Il Falconiere, degli amici Silvia e Riccardo Baracchi. Un posto incredibile per bellezza, tavola e vini: se ci vai una volta, non puoi non tornarci. E noi eravamo calati nel Relais con settanta persone.
Io e Rita, e pochi intimi, arriviamo già a Cortona venerdì sera, con il gruppo di amici più affezionati. Il matrimonio si celebrerà sabato nel pomeriggio, in Comune. No, non immaginatevi il classico Comune: immaginatevi una sala antica, con il coro, il leone di San Marco come stendardo (KARMA di un Veneziano come me) e l’atmosfera di una chiesa medievale. Non a caso un mio amico, distratto, si era fatto il segno della croce, entrando.
Io divorziato ma fermamente credente, non ho potuto sposarmi in una delle meravigliose chiese di Cortona e, sicuramente, avremmo scelto San Nicolò, che porta il nome del mio primogenito e di tutti i maschi del ramo della mia famiglia (come primo o secondo nome) dal 1474.

C’era mia madre, il mio nume tutelare. Non c’era la sua, Anna. Troppo cattolica, al punto di fare questo affronto alla figlia. Ma era ed è una brava donna: è stato solo quell’affronto (lo ha dovuto subire anche mia madre: leggi qui) e poi, quando è arrivato Nicolò, ho potuto varcare la soglia della sua casa. Quando è nato Sebastiano, 20 mesi dopo Nicolò, mia suocera ha inziato a parlarmi della Sacra Rota. Nata Rebecca, il mio regalo dei 50 anni, mia suocera mi ha guardato e mi ha detto: chiamami Anna.

Ma torniamo a quella notte di attesa. Il grosso degli invitati sarebbe arrivato il giorno dopo, direttamente da Milano. Noi, con gli intimi, avevamo iniziato spensierati i bagordi al Preludio, altra nostra tappa fissa di allora. Eravamo felici, io un po’ nervoso, molto più nervoso della prima, lontanissima volta che mi sono sposato.
E proprio perché io ero nervoso abbiamo rischiato di non sposarci. Sì, la favola stava per avere un drammatico finale a poche ore dalla cerimonia. Non mi ricordo che cosa mi abbia detto Rita: era notte, e stavamo rientrando in albergo. Forse mi ha ripreso, come fanno certe mogli che io detesto, e io sono esploso. Forse ero geloso, perché camminando mi è parso che lei ricambiasse lo sguardo di un uomo: i gemelli sono come i pesci… Non ricordo in realtà.
Metti due caratteri forti che non mollano ed ecco una bomba chimica che può far esplodere anche la storia più bella. Insomma, litigata mostruosa. Al punto che, in camera da letto, tra pianti e urla, decidiamo di non sposarci più, di mandare tutto affanculo! Gli ospiti? Sono amici, capiranno, mangeranno, si divertiranno alla faccia nostra…
Urla, pianti per due ore sono rieccheggiati in quella torre che sovrasta l’albergo e la Val di Chiana. Poi, come sempre succede fra me e Rita, ha preso il sopravvento l’amore e il linguaggio corporeo. Una pausa, uno sguardo, un bacio dei nostri, sesso e… Eravamo pronti per sposarci.
Io e lei abbiamo due caratteri forti: lei testona, io infiammabile come il napalm. Le nostre litigate sono sempre dei divorzi. E le riappacificazioni dei nuovi matrimoni. Prima che Papa Francesco lo dicesse, noi abbiamo sempre applicato la sua regola nel litigio: non si dorme se non si suggella la pace con un bacio. E oltre (è la nostra versione).
Bene, eravamo pronti. Io volevo dormire già vestito da matrimonio, tanto ero agitato. Rita rideva, era serafica. Madre e finalmente moglie, si stava veramente godendo il giorno più bello della sua vita. Solo il tempo la faceva adombrare: pioveva e pioveva, quell’aprile del 2002. E lei era giù di morale per questo. Poi mi ha detto: fanculo, non mi farò certo rovinare la giornata da due gocce. E così, per incanto, ma credo più per i poteri di mia madre (leggi qui), a solo un’ora dall’inizio di tutto, compare il sole.
Gli ospiti erano divisi in due categorie. Quelli arrivati in albergo la sera prima, che avevano gozzovigliato con noi, che erano felici e si erano goduti Cortona e un altro pranzo al mitico Dardano, la trattoria migliore del mondo. E gli altri, gli incazzati. Avevano dovuto guidare per più di 4 ore sotto un muro di pioggia per arrivare da noi. Gli autisti dicevano tutti la stessa frase: ma questi due coglioni dovevano sposarsi così lontano da Milano?
Ma, come per incanto, e come nelle migliori favole, basta posteggiare e iniziare a camminare per la ripida Guelfa e le strade di Cortona, per essere teletrasportati in vacanza e in un altro mondo, quello delle favole appunto. E così, dopo solo mezz’ora, erano già tutti sorridenti e in vacanza.
Non lo sapevo, ma dovevo essere vittima di uno scherzo. Ero agitatissimo e mi avevano messo in mano un bouquet di fiori bianchi da dare alla sposa. Bianco? Rita non si sarebbe mai sposata in bianco, cosa c’entrava quel colore? Si sussurrava che avesse addirittura scelto il nero per stupire: capacissima!
Mi avvio verso il Comune chiesa, una scalinata ripida da matrimonio per principi e consorti.

Mi accompagna il mio testimone di nozze, Marco, amico di infanzia. Per calmarmi mi guarda e mi dice: ma sei sicuro di volermi come testimone, l’altra volta ero io e non è andata molto bene… Magari ti porto sfiga. Marco, ma sono cose da dire? E poi ho Gianfranco come secondo, amico da sempre e, notoriamente, portafortuna. Ci incamminiamo verso la piazza.
Che è gremita di amici, ma anche di turisti: vogliono fotografare la sposa. Eccola! Radiosa. E’ vestita con un abito rosso estintore. E’ magnifica. E’ la più bella. Ha uno spacco vertiginoso, le autoreggenti, il tacco 12 e la pancia di 5 mesi, ma è felice, a suo massimo agio. Mi inginocchio e le bacio la pancia: lei è la madre di mio figlio.

Scendiamo la scalinata fra gli applausi, i flash che sembra Hollywood e gli amici che non sanno che il riso ce l’abbiamo anche noi, e risponderemo al fuoco. Rita ha scelto come bomboniera una macchina fotografica per tutti, da usare subito: era già una pr geniale!
Alla cerimonia sono agitatissimo. Sbaglio mano per la fede, lei che mi accudisce davanti a tutti, mi calma, mi segue. Lei se la sta veramente godendo, io sono felice, ma agitato come un bambino. Sembra davvero, per me, la prima volta che mi sposo.
La festa è meravigliosa. Al Falconiere mangiamo divinamente e una zucca portafortuna appare come nella favola di Cenerentola sulla nostra tavola: ce la porteremo dietro fino a oggi. La festa continua alla sera con il cantante dei Bisonti che suona per noi in albergo, interamente occupato dai Pellizzari & friends.
Il giorno dopo, camminando per Cortona, incontriamo continuamente degli amici. Sembra il sabato del villaggio, il nostro villaggio. Qualcuno che non conosciamo riconosce la sposa e salute. Nicolò si muove nella pancia: festeggia anche lui.
Inizia la storia di un sogno d’amore che diventa realtà. In quel periodo ho fatto solo un errore; ebbro della notizia di diventare padre, ho regalato a mia moglie due anelli: uno per l’annuncio e uno per la nascita. Dovrò ripetermi per ben tre figli…
Non è finita qui amici: stay tuned, stay in love!
Ps: chi vuole seguire la versione di Rita, Ho incontrato mio marito in viaggio di nozze, la trova qui.

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