Una relazione può creare dipendenza? No, non parlo di quelle relazioni che vanno a finire sui giornali perché si arriva a eccessi patologici tipo violenza o schiavismo.
No, parlo di quel tipo di sudditanza strisciante, quotidiana, dolorosa ma non letale che prova chi è innamorato ma non corrisposto. Dipendenza appunto.
Amanti, nuove coppie, vecchie coppie: quando l’equilibrio democratico che dovrebbe governare il vero amore vede invece il prevalere di uno sull’altro, perché uno ama meno dell’altro (a volte molto meno), chi è innamorato totalmente diventa succube in modo più o meno accentuato, più o meno doloroso, perché è dipendente di una persona che, in misura da accertare caso per caso, può fare a meno di lui, di lei.
I sintomi di dipendenza sono più subdoli nelle coppie tradizionali, che stanno costruendo insieme le regole immediate e future del rapporto di coppia, perché spesso partono da piccole cose, da piccole privazioni in crescendo che uno subisce per colpa dell’altro, e che sopporta perché ha paura di perderlo.
Negli amanti i sintomi di dipendenza sono più chiari, perché il rapporto parte già con dei paletti molto evidenti: il tempo insieme sarà poco e rubato, niente feste comandate condivise, niente vacanze se non sporadiche. Qui è la parte emotiva e il ruolo dell’altra, la moglie o convivente o fidanzata ufficiale, che spesso sono i veri indicatori della dipendenza di uno dei due.
Parlavamo di tempo condiviso. Iniziamo dalla coppia “regular”.
Se è vero che una coppia deve, per preservare l’identità dei suoi componenti (quanto è importante non condividere tutto per garantirsi longevità amorosa, lo credo fermamente dopo due matrimoni, diverse storie importanti e i tanti vostri racconti) avere un’area personale riservata, è anche vero che questa quota non può superare un minimo sindacabile accettabile di tempo non condiviso.
Il suo calcio o la sua palestra? Ci stanno, ma non possono sempre far saltare il weekend insieme. Le uscite da soli con gli amici? Sono sanissime e raccomandabili, ma non possono superare o scalzare le uscite a due. Sempre o troppo. Non parliamo delle vacanze separate (anche parzialmente), un sintomo inequivocabile di disagio di coppia e dipendenza di chi lo accetta, se non è davvero (davvero!) frutto di un volere comune.
Insomma, se immaginiamo la vita di una coppia felice, e poche balle si è felici se si sta insieme parecchio non il meno possibile, il 70% del tempo deve essere condiviso. Se uno dei due impone all’altro, che accetta suo malgrado, un’area privata superiore si crea un malessere di coppia e una particolare forma di dipendenza: accetto che tu faccia quello che vuoi per molto più tempo di quello che vorrei perché ho paura di perderti, e se ho paura di perderti imponendo le mie giuste ragioni (un equilibrio più a favore della coppia) sento che mi amerai meno o te ne andrai.
Sì, ma in questo caso l’amore dell’altro dov’è se è pronto ad andarsene o a rivedere la sua quota di “amore” perché non vuole stare abbastanza con te? Semplice: in questi casi tirate avanti voi perché, grazie alla vostra dipendenza da lui o da lei, accettate ciò che non accettereste mai se non foste “dipendenti”.
E così in tante altre piccole, medie e grandi cose: accettate che lei vi interrompa o vi sconfessi davanti a estranei, amici o peggio i figli (gravissimo: i genitori devono essere un monolito unico e compatto con i ragazzi, si litiga dopo, in privata sede). Nel sesso lui si soddisfa e non pensa al vostro orgasmo, o vi chiede troppo spesso solo di soddisfare lui. Si guarda solo quello che vuole lei al cinema o alla tv. Non si esce mai insieme. Il calcio, il lavoro sono intoccabili e soverchianti. Insomma, piccole grandi cose che, sommate e prolungate nel tempo, dicono solo una cosa: state sopportando tutto questo perché? Perché gli volete bene senza remore o riserve? E lui? E Lei?
Gliene avete parlato? Certo che gliene avete parlato, e tante volte. Qui la dipendenza si vede da come sono cambiate le risposte del “dominante” di coppia. Prima erano: “sì hai ragione mi prenderò più tempo per noi”. Poi è diventato: “sì hai ragione”, magari guardando il telefonino. Poi: “ho bisogno dei miei spazi faccio quello che posso”. Infine: “non essere opprimente, lasciami vivere!”. E voi? Giù il rospo. Lui dominante, voi dipendente, succube, silente, prima o poi.
Magari minacciate, sbraitate. Ma mi ricordate quella povera prof del mio liceo che era troppo buona. Ogni volta che entrava, tutta la classe si trasformava in uno zoo: chi faceva il verso del gallo (io), chi la scimmia, chi l’elefante, perfino le ragazze imitavano animali, persino la secchiona di classe rideva. Un’umiliazione che la povera prof tentava, ogni volta, di ribattere allo stesso modo. Prendeva il registro di classe e diceva: ora vi scrivo una nota. Una nota che non arrivava mai. Tanto che il sottoscritto, all’epoca studente scapestrato e dominante crudele, l’ennesima volta ebbe pure il coraggio di sfidarla dicendole: tanto non la scrivi. E non la scrisse. Pierino e il lupo. Io dominante, lei dipendente, in quella strana coppia scolastica. Ma non siamo molto distanti dalle dinamiche di coppia vera.
Negli amanti la dipendenza non è tanto legata al tempo, anche se poi incide anche su questo rendendolo meno disponibile e più virtuale (tanta chat/messaggini e pochi incontri) o sessuale (poche ore di solo sesso), ma al ruolo dell’altra, come dicevo.
Nella prima fase dell’amantato l’altra, cioè la “titolare”, non ha molto peso. La coppia “clandestina” (modo orripilante di descrivere due che si piacciono e scopano insieme anche se sono occupati su altri fronti, un po’ come “traditori”, altro vecchiologismo da confessionale) se la gode quando può, come può e non ci pensa troppo.
Poi, però, se l’amantato tende verso l’anno di longevità, spesso uno dei due si innamora. E qui iniziano i guai. E la dipendenza. Perché di solito l’uomo (è lui nella maggior parte dei casi), pur dichiarandosi innamorato (e spesso crede di esserlo davvero, ma di fatto lo è con riserva) non lascia la moglie. I motivi sono sempre quelli (affetto, senso di colpa, abitudine, paura di un nuovo grande passo, soldi, figli), ma nella dipendenza è l’atteggiamento che conta. Lui soffre? Quanto soffre? Più o meno di voi? In ogni caso, anche se sembra soffrire come voi, è lui che prende la decisione di non mollare la moglie. O il marito. E voi non prendete la decisione, per questo, di mollare lui. A volte per anni. Di infelicità. Ecco la vostra dipendenza. Anche voi avete paura di perdere qualcosa che non è vostro al 100%, e ve lo fate bastare. Per anni.
La dipendenza è infelicità, sia che siate amanti trascurati o membri di una coppia dove l’altro fa sostanzialmente quello che vuole. Si nutre di quella porzione rimasta di bello della coppia (sesso, risate, pochi momenti ok insieme) che però il dominante ha ridotto a suo piacere, immagine e somiglianza.
Dunque l’altro, il dominante, è il diavolo? E qui mi ricollego all’immagine di questo articolo con l’angelo caduto che in una serie tv di successo, Lucifer, si lamenta di essere diventato, nei secoli dei secoli, il capro espiatorio di tutte le malefatte dell’uomo.
E qui forse vi stupirò, care lettrici e lettori. Il dominante non è Lucifero, il dipendente non è sempre la vittima (ripeto, parliamo di casi normali, non di violenza o patologie o cronaca nera, anche se certe dipendenze possono portare a certi abissi).
Io credo fermamente, ancora di più nelle dinamiche di coppia, che noi siamo i fautori del nostro destino. Noi forgiamo la coppia, i suoi equilibri, le sue fattezze.
Spesso si dice che le donne cercano di plasmare il proprio uomo secondo un ideale di principe azzurro che si sono fatte, se quello che hanno scelto non è conforme al 100% a questo ideale. Lo fa anche l’uomo, non tanto per plasmarvi, ma per farsi, spesso, i fattacci suoi senza rompimenti di palle. Ma non è dominio questo, in un equilibrio di coppia fa parte del crescere e cambiare insieme. Dominio è rinunciare alla propria volontà e identità e felicità a quote crescenti e nel tempo.
Ma il dominante, che sia un lui o una lei, non è il diavolo. Nulla vi viene fatto fare che voi non vogliate fare. Siete voi che avete deciso di sopportare, non vedere, inghiottire i rospi, aspettare, accettare, chinare il capo. Lui/lei sono cattivi, crudeli? Forse, ma è una ragione in più per bloccarli, lasciarli. Avete scelto voi la via della dipendenza. Potevate lasciare in ogni momento, e lo sapete.
Siete infelici? Siete ancora in tempo per spezzare le catene che voi stessi avete forgiato. Non ce la fate? Scegliete un tutor: può essere un amico vero o un professionista, cuonselor o psicoterapeuta o, perché no, un bravo medico psichiatra che sappia anche dialogare, non solo prescrivere farmaci (mica è il medico dei matti, come si diceva una volta).
Sarà un percorso doloroso, vero, ma la libertà non ha prezzo. E dietro la libertà c’è spesso una nuova esperienza, sicuramente più consapevole e felice. Anzi, la seconda cosa da fare, dopo il tutor, è farsi un nuovo amico o amica (fosse anche solo per ridere e/o scoparci, per sentirsi di nuovo “importanti”, guardati e desiderati), credetemi.
Dunque, la risposta a “esistono relazioni che creano dipendenza” per me, salvo rari casi (ripeto: non parliamo di casi estremi ma di dinamiche di coppia normali, per quanto affardellate dall’infelicità), è NO.
Non prendetevela quindi con il diavolo, perché il diavolo, al massimo, siamo noi. Noi che scegliamo la via della “dipendenza” da un altro che non ci ama quanto noi lo amiamo senza ribellarci subito, durante, dopo, comunque in tempo.
Sincerely yours
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