
Dormire, morire forse
Avete mai pensato di farla finita? Sì, di suicidarvi. Quattromila persone in Italia ogni anno si suicidano. Per motivi economici, perché sono stati licenziati (i nuovi grandi big killer figli della crisi e del lavoratore diventato numero e non più risorsa), per amore, per depressione, la madre di tutti i suicidi.
Si pensa di farla finita quando si è soli, ci si sente con le spalle al muro e nell’impossibilità di uscire da una situazione che ci fa sentire come topi in trappola, o meglio, io immagino spesso uno scorpione che è circondato dal fuoco e usa il suo pungiglione letale per uccidersi.
È la mancanza di capacità di vedere un futuro e nessuna via di fuga, la paura di perdere tutto e la depressione a far pensare a un atto estremo.
Oppure l’impossibilità di amare l’amata o dovervi rinunciare, per un errore del passato, per esempio. In L’età dell’innocenza, Daniel Day Lewis arriva a pensare a un intervento divino tipo fulmine risolutore per uscire dal blocco sentimentale che lo pietrifica.
La depressione, poi, ama il suicidio. Lo considera il suo capolavoro finale. Prima ti toglie le forze, poi le speranze, poi cerca di toglierti la vita. A volte ce la fa, soprattutto in chi rimane molto solo. spesso, per fortuna, no, e le persone si salvano, guariscono persino. Grazie ai medici, a un giusto mix di terapia psicologica e chimica e ai parenti e amici più vicini, alle persone che ti vogliono davvero bene, e che lottano per te e con te.
Mi diceva un’esperta che arrivano da lei molti manager e lavoratori licenziati o “accantonati” che parlano di suicidio. Lei ha il gravoso compito di individuare subito chi è davvero a rischio di farlo, perché per fortuna fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e molti pensano al suicidio genericamente, tipo “adesso mi ammazzo”, ma spesso e per fortuna, nonostante la disperazione o la depressione, l’istinto di conservazione prevale.
Certo che 4000 all’anno sono tanti. Si parla della fascia degli over40 per la crisi, ma ci sono anche tante donne rimaste sole, ragazzi…
Quello che deve farsi strada è la speranza. La speranza di rinascita. Se nel buio totale della disperazione e della solitudine si riaccende questa flebile luce puoi rinascere.
Ma per fare questo ci vuole l’aiuto, da soli, chiusi nella tomba della camera da letto, non ce la facciamo.
Allora, se stai pensando a cose brutte alle quali non avevi mai pensato, se sei soverchiato dai lutti, dalla mancanza di soldi, da un amore che sta morendo, dal lavoro che di colpo e senza preavviso da fonte di ricchezza e orgoglio diventa carestia e umiliazione corri subito da un amico vero, da chi ti vuole bene e chiedi di portarti da un medico, uno specialista della mente. Così ne uscirai.
Parlare, parlarne, scriverne, tu, noi tutti: questo è salvifico.
Te lo augura chi ha visto, sentito, ascoltato, provato le stesse sensazioni.
Allora…
Un abbraccio a tutti coloro che vorrebbero risorgere dai propri olocausti, perché hanno in loro già una piccola ma importante forza per farlo.
E da credente, una preghiera per chi non c’è l’ha fatta ed è scappato dalla vita: spero che il Signore, nonostante il gesto compiuto, lo abbia accolto in Paradiso, per “guarirlo” dall’inferno passato in terra. Amen
« Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna
o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere. È questo lo scrupolo
che dà alla sventura una vita così lunga.
Perché chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo,
il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo,
gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge,
l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo
che il merito paziente riceve dagli indegni,
quando egli stesso potrebbe darsi quietanza
con un semplice stiletto? Chi porterebbe fardelli,
grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa,
se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte,
il paese inesplorato dalla cui frontiera
nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà
e ci fa sopportare i mali che abbiamo
piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti?
Così la coscienza ci rende tutti codardi,
e così il colore naturale della risolutezza
è reso malsano dalla pallida cera del pensiero,
e imprese di grande altezza e momento
per questa ragione deviano dal loro corso
e perdono il nome di azione. »
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