Io UESono fra quelli che pensa che in Italia ci siano troppi enti pubblici inutili, in tempi di crisi economicamente ed eticamente insopportabili.

 

Fra questi non annovero i Comitati etici dei grandi ospedali, dei Poli universitari, delle Associazioni e che operano nella Sanità in generale. In tempi di tagli, anche questi enti sono stati sacrificati, accorpati, ridotti.

 

Bene, diranno molti, facendo di tutta l’erba un fascio. Male, dico io, ma ammetto di dirlo solo perché ho avuto la possibilità di lavorarci (in uno ci lavoro ancora), mentre la maggior parte della gente non sa neanche che cosa fa un Comitato etico.

 

Il Comitato etico è una difesa per i pazienti. In pratica, i suoi membri (nel mio caso c’erano medici, ma anche avvocati e statistici, cioè tecnici e membri “laici” come il sottoscritto) hanno come lavoro quello di passare al setaccio le richieste di sperimentazione (di farmaci, ma anche di tecniche chirurgiche nuove), verificarne l’eticità, la congruità, la correttezza e molto altro, con in testa un solo bene: il destinatario, cioè il paziente che sarà oggetto della sperimentazione.

 

Il mio compito era quello (l’ho fatto per circa tre anni) di vagliare i testi dei consensi informati insieme ai colleghi. Il consenso informato è quel foglio che ti danno da firmare, e che dovrebbe spiegarti in modo semplice e chiaro che cosa ti propone la sperimentazione (o l’intervento, la cura, se siamo fuori dalla sperimentazione: quante volte l’avete firmato senza leggerlo o capirlo?), che cosa ti succederà, gli effetti collaterali possibili… Insomma, tutto quello che devi sapere prima di firmare e, quindi, partecipare a una sperimentazione (io mi occupavo di questa area).

 

Un compito difficile (le leggi da rispettare e tenere presenti sono tante) e “facile” allo stesso tempo, almeno per me, perché applicavo una regola elementare: se io non capisco un testo, non lo capirà il paziente. E finché il testo non era chiaro, andava rimodulato.

 

Una delle accuse che si fanno ai Comitati etici è la lentezza con cui sfornano i pareri. E si fa in fretta a bollare come burocrazia ciò che invece, almeno per quello che ho visto e vedo io, si chiama attenzione e cautela verso il bene più prezioso, la persona-paziente.

 

La presunta lentezza è legata, nella mia esperienza, anche alla qualità dei testi che vengono proposti: non sempre chiari, a volte oscuri, con errori non solo ortografici. Da questi testi, però,  sono sempre nati confronti molto proficui con gli sperimentatori che li avevano redatti, e ho toccato con mano quanto sia positivo il confronto fra medici del Comitato e medici proponenti la sperimentazione. Ogni volta ne usciva un documento più chiaro e tutelante per il paziente, o almeno questo è quello che abbiamo tentato di fare, in uno spirito di grande collaborazione, non di Santa Inquisizione.

 

Ora i Comitati etici sono stati ridotti e accorpati. Non credo sia una buona cosa. Per la lentezza di sicuro non aiuterà. E avere meno teste con il doppio di lavoro da fare non credo sia un vantaggio per i pazienti.

 

Tagliare la Sanità pubblica in tutte le sue espressioni è sempre un azzardo, perché si rischia che sia il solito a rimanere con il cerino in mano: il paziente.

 

Speriamo che la nuova versione ridotta dei Comitati funzioni almeno bene quanto funzionava prima in versione “allargata”. In caso contrario, conto in un ripensamento in tempi non biblici.

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