Oggi in redazione mi arriva un libretto sugli angeli che parla di custodi invocabili per ogni necessità. Credo negli angeli, ne ho incontrati diversi.
Il primo me l’ha presentato mia madre. A tre anni mi ha detto: il tuo angelo custode si chiama Ciclamino, e ti visiterà tutte le notti. Non poche volte l’ho invocato per combattere le paure delle ombre della sera.
Il secondo è stato una grande delusione. Un Natale, più grandicello, mia zia promette a me e a mia sorella che ci avrebbe regalato un angelo personale, in grado di soddisfare ogni nostro desiderio. Pensavamo solo a quello. Gli altri regali erano come spariti. Immaginatevi la delusione alla scoperta che i due angeli in realtà erano dei portapigiama di stoffa da appendere sopra il letto. Ho odiato la zia.
Il terzo angelo l’ho incontrato in un film. Nell’ultima profezia, si narra della seconda guerra degli angeli. La prima la conosciamo tutti: è costata a Lucifero la cacciata. Nella seconda gli angeli sono divisi dall’uomo: una parte è gelosa dell’amore di Dio per quello che chiamano la scimmia parlante e combattono contro gli altri che rispettano il volere di Dio. Affascinante vedere questi guerrieri alati e sanguinari, molto lontani dall’iconografia del Beato Angelico. Una tesi affascinante, quella della seconda guerra angelica.
Il quarto angelo viene a trovarmi ogni tanto, di solito verso l’alba. È l’angelo del giornalista. Arriva e mi sussurra all’orecchio: domani controlla quella cosa lì. Non sbaglia mai. Mi ha salvato diverse volta, anche da guai grossi.
I neurologi liquiderebbero quest’angelo come il naturale modo del cervello di resettarsi col riposo che, spazzate vie le notizie superflue, mette in evidenza quelle davvero importanti. Ma il cervello non ha le ali.
Serafini, cherubini, arcangeli: le cerchie angeliche mi affascinano anche nelle loro gerarchie, dalla contemplazione di Dio alle funzioni più vicine all’umano destino.
Presenze invisibili che testimoniano il nostro bisogno di aiuto nei momenti più difficili, siano essi quelli di un bambino o quelli di un giornalista.